Giorno 13 bis. Aleph

L’aereo corre inseguendo la notte, che credo a questo punto sia diventata la più lunga della mia vita. Mi viene in mente Samuel Beckett e il suo Krapp, che forse, alla fine della messa in scena, scopriva che le tenebre da cui aveva sempre tentato di fuggire erano in realtà il suo migliore alleato (questa però è un’illazione, una interpretazione altrui di ciò che in Beckett è solo una frase troncata volontariamente in un nastro registrato, l’ennesima dimostrazione del non poter più nemmeno dire). Mi viene in mente il momento in cui sono arrivato al Media Village la prima sera, nel buio e nel vento di un luogo che era, al momento e probabilmente ancora, indicibile. Ho fatto, perso, rifatto e riperso e poi fatto ancora il conto dei giorni. Appena arrivato mi è stato consegnato il blocchetto dei tagliandi per avere diritto alla colazione, uno per ogni giorno. L’assottigliarsi della mazzetta era il calcolatore oggettivo che tenevo un po' nascosto nel cassetto del mio comodino. È inutile scrivere adesso che, ripensando all’arrivo in Corea, ripensando addirittura ai momenti precedenti l’arrivo (la chiusura della valigia, mio padre in auto verso l’aeroporto, l’attesa in fila al gate), la sensazione è che sia passato solo un battito di ciglia. E che questo lungo istante (mi viene in mente sempre il Lungo telegramma da Mosca di George Kennan, che per primo spiegò il concetto di Guerra Fredda, tanto che prima di salire sul treno da Gangneung ho definito nello stesso modo il post di Andrea che riassumeva bene e senza fronzoli le giornate olimpiche che stavamo finendo di vivere, chissà cosa hanno pensato i miei amici), sia però anche stato infinito, carico di sensazioni e di stupori che adesso, confesso, non so bene dove potranno essere finiti. Come il nastro di Krapp oppure come uno dei luoghi di Borges, una sottospecie di Aleph che, anziché il mondo intero, nel suo essere puntiforme contenga almeno tutte intere le sensazioni, le storie, le tristezze, le scoperte di questa trasferta solo in parte immaginaria (mille anni in tre settimane, o giù di lì).

L’ultima cena coreana, con il gruppo più allargato che mai, l’abbiamo festeggiata in un ristorante la cui specialità era la carne alla brace (io sono vegetariano, c’erano dei noodles al kimchi, ma erano freddi, poteva andare meglio insomma). La cosa interessante però erano delle specie di mentine che abbiamo trovato sul tavolo, che mentine non erano (ma che tentazione quella di assaggiarle comunque) bensì erano salviette detergenti disidratate che, quando il cameriere, evidentemente messo in allarme dagli sguardi interessati miei e di Giorgio, si è premurato di versarci sopra dell’acqua, si sono trasformate prima in dei marshmellow (e anche qui, la tentazione di mangiarseli se possibile aumentava), poi in quello che effettivamente erano: piccoli asciugamani imbevuti. Ecco, se penso all’Aleph di queste giornate, mi immagino che, prima o poi, dell’acqua lo faccia germogliare improvviso come quelle strane mentine coreane, restituendomi una percezione un po' più ragionevole di quando è successo.

Certo, una volta tornato in redazione cercherò di contare e di stampare tutte le corrispondenze che ho mandato, catalogherò da qualche parte i video realizzati, guarderò in modo sicuramente compulsivo le fotografie scattate, cercherò di ricordarmi senza troppa nostalgia dei momenti buoni (la prima volta nella Ice Arena, il primo lancio sulla medaglia d’oro di Arianna, il sorriso sempre disponibile e rassicurante di Gianfranco, gli abbracci con le persone di Casa Ìtalia…) e di quelli meno buoni. Ma è difficile adesso dare una forma a queste azioni, come era difficile avere un’idea di cosa significava la parola “Corea” per me prima di partire. Il diario, evidentemente, testimonia che anche mentre sto tornando, in volo sopra la Russia (e scoprire che siamo adesso esattamente sopra Chelyabinsk qualche cosa vuol dire per un lettore di Don DeLillo, santo cielo, non parlatemi di coincidenze, non vale), questo significato non l’ho trovato - sì, dei brandelli, sì sicuramente era nei rapporti di amicizia, ma non è solo questo, manca, come sempre, il quadro complessivo - e anche se confido nell’Aleph sotto forma di marshmellow, forse, a essere sincero, non sono così sicuro di volerlo conoscere tutto. Krapp mentre spegne il registratore: credo sia anche per azioni come queste che continuo ad amare Samuel Beckett. Qualcuno a cui voglio molto bene mi parla spesso di autosabotaggi, forse ha ragione, forse il punto è tutto lì. Ma adesso, con un inspiegabile e del tutto immotivato spirito di ottimismo, faccio la cazzata di scrivere che un po' questi sabotaggi sono me stesso, e di loro può addirittura avere senso prendersi un po' cura. 

Ora finirò di guardare Logan, il film sulla vecchiaia di un supereroe, poi dormirò ancora un po' e poi di nuovo nell’ignoto del ritorno a casa e alla vita “di tutti i giorni”. Non ho idea di come andrà, come non la avevo prima di partire. 
Questa, se volete, è la morale di tutta la storia.

(Ma una morale da sola non basta mai).

(La vita è tragica
La vita è stupida
Però è bellissima, essendo inutile
Pensa a un’immagine, a un soprammobile
Pensare che
La vita è una sciocchezza aiuta a vivere)


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